Code interminabili, resse, schiamazzi. I musei non sono più luoghi avvolti da un’aura sacrale, nei quali entrare come in un tempio per ammirare concentrati e in silenzio le opere d’arte. Contro i risvolti più discutibili del marketing culturale si è scagliato qualche tempo fa niente meno che Jean Clair. I musei-mercato, secondo il celebre critico, “preferiscono l’amore di gruppo, per lo più chiassoso, e i trasporti di massa”. L’ideale è visitarli di notte. Trovata suggestiva, portata avanti da qualche assessore intraprendente e immaginificamente accostata, da alcuni registi di cinema e teatro, alla possibilità che di notte le statue si trasformino in esseri viventi e dai dipinti escano i personaggi storici. Tra le pellicole ispirate a questo filone vengono in mente Una notte al museo e i relativi sequel con Ben Stiller e Robin Williams, tra le produzioni operistiche ricordo I quatro rusteghi messi in scena da Davide Livermore alla Fenice.
L’idea è stata utilizzata anche da Arnaud Bernard nell’allestimento de I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini realizzato dalla Fondazione Arena in collaborazione con la Fenice e la Greek National Opera, ripreso in questi giorni al Teatro Filarmonico di Verona. Memore forse del giudizio di Liszt (“un venerabile prodotto di scuola antiquata”), il regista francese considera questo titolo “un’opera da museo” che possiamo guardare a distanza “ma non riusciamo a toccare”, un lavoro drammaturgicamente irrisolto, sospeso tra una musica a tratti sublime e un libretto di modesto livello. Valutazione nel complesso condivisibile.